Enunciare la titolarità di requisiti non posseduti, in sede di preventivo offerto in comunicazione all’assemblea dei condòmini, ovvero affermare impropriamente (e cioè senza che ciò risponda al vero) di essere iscritto ad una associazione di professionisti – come l’ANACI – e di aver possibilmente curato i corsi per la formazione professionale, ovvero ancora di essere financo un ragioniere, quale reato integra? Inoltre, appropriarsi del danaro dei condòmini, in pendenza del mandato acquisito con tali “espedienti”, cosa comporta?
Risponde ai superiori enigmi la Corte di Cassazione con la Sentenza del 6 ottobre 2017, n. 45980.
Il fatto
Tizio è stato citato in giudizio per il reato di “truffa”, in quanto aveva falsamente dichiarato ai condomini del Condominio Beta di essere iscritto all’Anaci, di essere in possesso di partita Iva e di essere ragioniere (a fronte delle previsioni portate dall’articolo 640 Codice penale, aggravato dalla circostanza di cui all’articolo 61 n. 7).
A fronte di tali requisiti – possibilmente riportati in seno al preventivo offerto in comunicazione – l’assemblea dei condòmini aveva, infatti, nominato lo stesso come proprio amministratore, preferendolo – possibilmente – ad altri amministratori concorrenti.
Nel corso della gestione del mandato ed in forza del potere acquisito, Tizio realizzava però un ingiusto profitto, prelevando dal conto condominiale la somma di Euro 65.897,36 ed utilizzandola per fini personali.
Nel corso del processo penale instauratosi avanti al Tribunale di Palermo,, la Pubblica accusa – per come è dato leggere dalla Sentenza in commento – ha poi ulteriormente contestato a Tizio il reato di “appropriazione indebita”.
In primo grado quest’ultimo è stato, infine, condannato per entrambe le fattispecie di reato (ovverosia sia per il delitto di “truffa” che per quello di “appropriazione indebita”) alla pena di anni uno mesi tre di reclusione ed Euro 300,00 di multa, nonché’ al risarcimento del danno in favore del Condominio, in quanto costituito parte civile.
La vicenda è poi pervenuta avanti alla Corte di Cassazione alla fine di esaminare la legittimità della condanna subita.
La Sentenza.
Per la Corte di Cassazione, tuttavia, le due fattispecie di reato, nella vicenda in esame, non sono in grado di sussistere simultaneamente.
Osserva la Corte che, in considerazione della perfetta identita’ del nucleo essenziale della condotta – differenziata esclusivamente dagli artifizi e raggiri contestati in relazione alla truffa -, la doppia contestazione costituisce violazione del principio di ne bis in idem sostanziale.
Secondo i giudici di legittimità, va valorizzato, invero, il “divieto” di valutare due volte lo stesso elemento di fatto in relazione al medesimo schema normativo o in relazione a schemi che si ricomprendano tra di essi.
In astratto – continuano i giudici – non è da escludere la possibilità di un concorso tra i reati in esame, il quale, tuttavia, laddove sussistente, impone la enucleazione di autonome e distinte condotte, singolarmente dotate di efficienza lesiva dell’altrui patrimonio.
Ad esempio, una ipotesi di concorso tra tali reati si verifica quando, da un lato, si induca taluno con artifici e raggiri a concludere un contratto di vendita ed a consegnare la merce e, dall’altro lato, si persuada l’acquirente a disporre della stessa merce prima del versamento dell’intero prezzo (in punto, viene richiamata la Sentenza della Corte di Cassazione n. 52 del 23/01/1968, Ronghi Rv. 106895).
Nella specie, invece, si è in presenza di un’identica azione lesiva del patrimonio del Condominio Beta (in quanto persona offesa) oggetto di duplice qualificazione giuridica, che va ricondotta, quindi, in via esclusiva, nell’ambito dell’articolo 640 codice penale, ovvero nell’alveo del reato di “truffa”.
Conclusione
Alla stregua del principio quivi affermato da parte della giurisprudenza di legittimità, sussiste il delitto di truffa e non quello di appropriazione indebita quando l’artificio e il raggiro risultino necessari alla appropriazione (in ordine all’affermazione del principio si segnalano, altresì, le seguenti pronunce: Corte Cassazione, Sez. 2, n. 51060 del 11/11/2016, Losito, Rv. 269234; n. 35798 del 18/06/2013, Actis, Rv. 257340; n. 17106 del 22/03/2011, Abete, Rv. 250250).
A tanto è conseguito l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riguardo al delitto di cui all’articolo 646 c.p. (appropriazione indebita), in quanto ritenuto assorbito nella fattispecie del reato della “truffa” ex articolo 640 Codice penale.
La natura meramente reiterativa dell’illecito appropriativo rispetto al delitto di truffa ha poi imposto di escludere l’incidenza sulle statuizioni civili rese, che, in quanto tali, sono rimaste confermate.
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