di Rosario Dolce
La Corte di cassazione, Sezione Seconda civile, con l’ordinanza n. 22652 del 5 agosto 2025, è tornata ad affrontare il tema della distinzione tra vendita di un immobile “a corpo” e vendita “a misura”, evidenziandone la rilevanza ai fini dell’interpretazione del contratto di compravendita – profilo che, nella vicenda sottoposta al suo esame, era stato oggetto di specifica censura per violazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c.
Nella fattispecie, una società aveva acquistato, con pattuizione “a corpo”, un capannone con annesso spiazzo antistante. Successivamente alla consegna, l’acquirente rilevava che la superficie effettiva dell’area risultava inferiore rispetto a quanto indicato nell’atto notarile, e domandava pertanto la restituzione di parte del prezzo corrisposto, oltre al risarcimento del danno.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ribadito – in conformità alla pronuncia di merito – che, quando l’acquirente agisce contro il venditore per ottenere la riduzione del prezzo e il risarcimento dei danni assumendo che una porzione del bene alienato appartenga in realtà a un terzo, la fattispecie integra un’ipotesi di evizione parziale disciplinata dall’art. 1480 c.c., e non la diversa ipotesi di cui all’art. 1538 c.c. Quest’ultima norma, infatti, riguarda esclusivamente la vendita “a corpo” di fondi la cui estensione risulti, successivamente, inferiore a quella dichiarata dalle parti (in tal senso, Cass. 3994/1980; Cass. 23343/2009; Cass. 2060/2013).
La Corte ha inoltre richiamato il consolidato orientamento secondo cui la differenza tra vendita “a corpo” (art. 1538 c.c.) e vendita “a misura” (art. 1537 c.c.) non riguarda l’individuazione della cosa compravenduta, bensì il rapporto tra la superficie del bene e il prezzo pattuito. Nella vendita “a corpo”, infatti, la superficie indicata ha valore meramente descrittivo, mentre nella vendita “a misura” la determinazione del prezzo è strettamente correlata all’estensione del bene (Cass. 7720/2000; Cass. 12791/1993; Cass. 91/1976).
Ne consegue che la distinzione tra i due schemi negoziali assume rilievo solo nei casi in cui sia controversa – o debba essere ricostruita – l’esatta individuazione del bene oggetto di trasferimento, come accade quando, oltre all’estensione, l’atto faccia riferimento a particelle catastali, confini o altri elementi identificativi (Cass. 3042/1987).
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