Il fatto. Tizio e Caio, quali proprietari degli appartamenti del primo piano, hanno convenuto in giudizio Mevio, in quanto altro condòmino- ma non residente -, al fine di chiederne la condanna a far cessare la destinazione impressa al suo appartamento come struttura alberghiera.
I ricorrenti, al fine, lamentano la violazione del regolamento del condominio, il quale in sé inibirebbe lo svolgimento di attività di tale genere, laddove riconducibili ad: affittacamere, pensioni, scuole di musica, di canto e ballo.
La richiesta giudiziaria esercitata dai due condòmini era anche condita da altra domanda, tesa ad ottenere il risarcimento del danno (€ 500,00 mensili dalla data di apertura dell’attività commerciale sino a quando non si provvederà al mutamento della destinazione d’uso).
Mevio, si costituisce in giudizio, e rileva, a confutazione delle avverse domande, che l’attività svolta nella propria unità immobiliare è riconducibile a quella qualificabile come “casa vacanza”, in quanto tale, non avente carattere imprenditoriale.
Ad ogni modo, il convenuto fa presente che lo svolgimento dell’attività non è in grado di recare alcun disturbo ai condòmini residenti, né pregiudizio per l’igiene e il decoro del fabbricato.
La Sentenza. Il Tribunale adito è quello capitolino e la questione, in tutta la sua portata, viene decisa con Sentenza dell’08 maggio 2018 (nr 9065). Esaminiamo nel dettaglio la parte motivata del provvedimento in commento.
Le “case vacanze”, altrimenti riconducibili alle cosiddette “locazioni turistiche”, possono identificarsi in tutti quegli immobili che vengono concessi in locazione per periodi brevi o lunghi al fine di soddisfare esigenze abitative transitorie, motivate per finalità turistiche.
Il relativo contratto, sottoscritto tra privati e con durata inferiore a n 30 giorni, è regolato dagli articoli 1571 e ss codice civile, dall’articolo 4 del Decreto Legge n. 50/2017, convertito con legge n. 96/2017, dall’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1998, n. 431, nonché dall’articolo 53 del Codice del Turismo (Decreto legislativo 79/2911, rubricato “Locazioni ad uso abitativo per finalità turistiche“, a mente del quale <gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, in qualsiasi luogo ubicati, sono regolati dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione>).
Tale qualificazione, però, richiede necessariamente che la prestazione del concedente non includa, in alcun modo, la fornitura, oltre che di servizi non direttamente inerenti al godimento della res locata (come la climatizzazione o la somministrazione di acqua, luce e gas), anche di servizi accessori o complementari alla persona durante il soggiorno.
Tali prestazioni, infatti, sono qualificabili come alberghiere e, in caso di più modeste dimensioni, possono ricondursi allo svolgimento di un’attività commerciale come quella relativa agli “affittacamere” (in punto, sono state richiamate alcune pronunce della Corte di Cassazione: Sentenza 19 marzo 2014 n. 6501; 22665/2010; 17167/2002).
Ne discende, pertanto, che l’eccezione di Mevio, secondo la quale la prestazione resa attraverso la concessione della disponibilità materiale dell’immobile a terzi ha natura locatizia e non già alberghiera, è fondata per cui la fattispecie in esame è stata giudicata estranea alla previsione normativa in disamina.
Conclusione. Il provvedimento si pone come un inedito e importate precedente su cui poter far riferimento per abbozzare una distinzione contenutistica tra “casa vacanza” e “affittacamere” (se non “B&B”), alla luce delle previsioni regolamentari contenute nei testi – in genere – adottati dai costruttori negli anni settanta-ottanta.
Secondo il giudice romano, a fare la differenza, non è la ricettività ma il servizio alla persona, laddove previsto nell’erogazione della prestazione complessiva offerta in pagamento.
Viceversa, al fine di poter qualificare o meno il rilievo delle diverse attività, non conta in sè la pubblicità effettuata nei siti di pubblicità “turistica”. Anzi, questa potrebbe essere rilevante per verificare, consultandone il contenuto, l’entità del servizio offerto (se di natura meramente locatizia oppure di qualità alberghiera)
Attenzione, tuttavia, alle clausole “miste”, cioè a quelle che oltre a specificare il divieto per una specifica attività pongono in essere dei vincoli riguardanti aspetti di carattere più generale: quali la quiete, il decorso, l’igiene all’interno del fabbricato.
In questo caso – rammenta il decidente – ,l’esercizio interpretativo in cui sarebbe chiamato il giudice, al fine di valutare l’effettiva violazione del disposto normativo, dovrebbe essere di ampio spessore e non dovrebbe prescindere dallo svolgimento di un accertamento fattuale, anche attraverso il ricorso a prove testimoniali.
Fonte https://www.condominioweb.com/case-vacanze-affittacamere.15005#ixzz5LsIZSz81
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