L’amministratore non è sempre responsabile del verificarsi di un sinistro nel cantiere condominiale, in caso di mancata adozione delle misure di sicurezza. Occorre comprendere come abbia deliberato l’assemblea sulla scelta dell’impresa appaltatrice. Lo dice il Tribunale di Milano, sezione penale, nella sentenza 2471 del 22 febbraio 2024, scagionando il professionista dall’accusa rivoltagli perché il fatto non sussiste.
La vicenda processuale
Il procedimento penale nasce dall’incidente occorso a un operaio di un’impresa specializzata in lavori su fune, durante la messa in sicurezza dei balconi del fabbricato, a causa della rovina di una lastra di marmo dall’alto.
L’amministratore del condominio – insieme al responsabile legale della società e alla stessa impresa edile, imputata per illecito amministrativo di cui all’articolo 25 septies comma 2 decreto legislativo 231/2001 – veniva così imputato del reato collegato alla violazione dell’articolo 90, comma uno, in relazione alla previsione contenuta nell’articolo 15 del Decreto legislativo 81/2008; tanto occorreva perché il mandatario dei condòmini – come si legge nel capo di imputazione – «avrebbe omesso, nelle fasi di progettazione dell’opera, di attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’articolo 15 sopra citato, con specifico riferimento alle lettere c), e), f) i)».
In altri termini, ciò che veniva rimproverato all’amministratore, da parte dell’accusa, era stata la proposta all’assemblea (che approvava) del ricorso ad una impresa specializzata nei lavori su fune, al posto di un’altra che invece poteva operare tramite il ricorso di ponteggi o altre opere provvisionali, così da ridurre al minimo i rischi per i lavoratori. Il teorema accusatorio non ha però convinto il decidente, che ha assolto il professionista dall’accusa confezionata contro di egli.
L’amministratore verifica l’idoneità della ditta appaltatrice
A tal riguardo, al giudice milanese è bastato richiamare un precedente della Cassazione (sentenza 10136 del 20 ottobre 2020), il quale ha chiarito che l’amministratore che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nell’interesse del condominio può assumere, ove la delibera assembleare gli riconosca autonomia di azione e concreti poteri decisionali, la posizione di committente, come tale tenuto personalmente all’osservanza degli obblighi di verifica della idoneità tecnico professionale della impresa appaltatrice, in informazione sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro e di cooperazione e coordinamento nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione.
Viceversa, nella fattispecie trattata il verbale assembleare richiamato agli atti, non conferiva all’amministratore imputato alcun potere di azione, per cui quest’ultimo non è stato ritenuto in grado di assumere la posizione di committente.
La prova dell’ingerenza dei lavori
Ma, il giudice meneghino è andato oltre questo pregiudiziale aspetto e ha affermato che anche se l’amministratore fosse qualificabile formalmente come committente dei lavori, per risultare passibile di responsabilità penale occorre dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la relativa ingerenza nell’eziologia dell’evento (Cassazione, sentenza 5946/2019). Ora, nella fattispecie ciò non era affatto avvenuto, visto che, al contrario, risultava documentato che:
– la proposta di avvalersi dei servizi di una impresa specializzata in lavori in quota non era stata formulata dall’amministratore, bensì da alcuni condòmini;
– l’amministratore aveva chiesto all’assemblea che nominasse, a fronte della propria scelta, de tecnici specializzati in materia di sicurezza sul lavoro, al fine di valutare l’affidabilità della ditta e l’opportunità che i lavori in questione venissero svolti su fune;
– l’impresa prescelta era comunque una società seria ed affidabile nell’intero panorama nazionale e internazionale.
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