L’amministratore di più condonnìnii che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomìnii su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell’amministratore o ad esigenze dei condomìnii amministrati.
Il principio è stato espresso dalla Corte di Cassazione, Seconda Penale, con la Sentenza numero 19519/2020.
Una simile condotta comporterebbe – stando alla motivazione del provvedimento – la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento (a conferma dell’assunto è stata richiamata il provvedimento della Corte di Cassazione Sez. 2, n..57383 del 17/10/2018, Beretta Rv. 274889 Massime precedenti Vedi: N. 24857 del 2017 Rv. 270092, N. 50672 del 2017 Rv. 271385).
Altri aspetti interessanti toccati dal provvedimento, in quanto correlati, sono la decorrenza della prescrizione del reato in questione, ovvero il momento esatto in cui esso si consuma.
Prescrizione del reato
Nello specifico i giudici di legittimità hanno precisato che essa decorra dal momento della cessazione della carica e non dalla verifica del singolo evento.
A tal fine è stato argomentato che il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioè nel momento in cui l’agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria.
La interversione del possesso, in tal caso, va però considerata come intervenuta solo con la cessazione della carica di amministratore da parte del ricorrente, cioè indipendentemente dalla dispersione dei beni in data antecedente.
In effetti, l’amministratore può, almeno fino al momento della cessazione della carica, reintegrare il condominio delle somme di danaro disperse, trattandosi di bene per sua natura fungibile.
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