Superbonus villette: l’impresa che ritarda i lavori risarcisce i danni al committente che perde il diritto al beneficio

Cosa succede se l’appaltatore non inizia i lavori di cui al superbonus e il committente perde il diritto alla detrazione? Ce lo dice in modo estremamente chiaro il Tribunale di Frosinone con la sentenza 1080 del 2 novembre 2023, condannando l’appaltatore al risarcimento del danno.

La vicenda processuale

Con ricorso ex articolo 281 decies Codice procedura civile il committente conveniva in giudizio l’appaltatore chiedendo di dichiarare risolto il contratto di appalto con questi concluso, avente ad oggetto lavori di ristrutturazione dell’immobile unifamiliare, sul quale aveva diritto di abitazione, da eseguirsi con gli incentivi fiscali previsti dall’articolo 119 Dl 34/2020, ovvero secondo il superbonus 110%.

Il committente, con il ricorso anzidetto, lamentava un grave inadempimento dell’impresa, consistente nel non avere iniziato i lavori appaltati e nel non averli portati a compimento entro il termine fissato del 30 novembre 2022 (scadenza che, giova ricordare, era stata prevista ex lege per il completamento del 30% dei lavori).

Il committente chiedeva, altresì, di condannare la convenuta, ex articolo 2033 Codice civile, alla restituzione della somma ricevuta quale primo acconto per i lavori, oltre agli interessi mensilmente pagati all’istituto di credito, che aveva anticipato il primo importo, dietro cessione del credito di imposta legato ai lavori, secondo lo schema del contratto prescelto. Infine, costituiva motivo del contendere anche la richiesta di risarcimento dei danni provocati dal citato inadempimento contrattuale, mediante pagamento della somma pari al valore dei lavori appaltati e non eseguiti.

La causa veniva istruita mediante prove testimoniali, nella contumacia dell’appaltatore, e conclusa con il parziale accoglimento della domanda risarcitoria.

Le motivazioni della decisione

Intanto, il giudice laziale si è soffermato sul presupposto per l’accoglimento di una domanda di risoluzione contrattuale, ivi affermando che nella fattispecie il ricorrente avesse offerto in comunicazione prova dell’inadempimento dell’appaltatore, visto il mancato rispetto del termine di esecuzione dell’opera secondo il cronoprogramma varato all’atto della stipula. D’altronde, come affermato incidentalmente nel provvedimento: «Sarebbe stato onere della resistente dimostrare il contrario, ovvero addurre e provare eventuali circostanze giustificative della mancata esecuzione dei lavori, ciò che, restando contumace, non ha fatto». Così giustificata la declaratoria di risoluzione del contratto, stante la gravità dell’inadempimento della resistente, concernente la principale ed essenziale obbligazione a suo carico, il decidente laziale ha condannato l’appaltatore a restituire la somma ricevuta in conto anticipo per l’inizio dei lavori, oltre che al risarcimento del danno.

Conclusioni

In questo ultimo caso, tuttavia, l’entità della condanna non è stata commisurata alla perdita del beneficio fiscale nella sua interezza (pari, dunque, al controvalore economico di cui al 110% delle opere da realizzare), considerato il mancato rispetto della scadenza del 30 settembre 2022 per l’ultimazione del 30% dei lavori.

Secondo il decidente, infatti, il mancato inizio dei lavori appaltati e l’omesso raggiungimento della soglia del 30% entro il termine stabilito dalla legge, non avrebbe precluso al committente di potere dare luogo all’inizio delle opere avvalendosi di «una nuova pratica edilizia usufruendo di correlativi benefici fiscali». In questi termini, il giudice ha quantificato l’entità del danno nella misura del 10% dell’importo dei lavori appaltati, quale percentuale minima del beneficio fiscale andata perduta a causa del verificarsi dell’inadempienza.

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