Il caso da cui prende spunto la controversia è un decreto ingiuntivo notificato ad un Condominio locale da parte di una ditta edile- quale appaltatore di un’opera commessa dall’amministratore, a norma del presupposto dell’urgenza -, a causa di perdite d’acqua condotta, di dubbia provenienza.
Il Condominio – opponendo il superiore titolo avanti al Giudice di Pace- precisava di non essere legittimato passivo a rispondere dell’obbligazione di pagamento addotta, in quanto, durante l’esecuzione dei lavori, era emerso che le perdite d’acqua discendevano dalla rottura della tubazione orizzontale posta a servizio di uno degli immobili. Quindi, ad avviso della compagine, l’appaltatore avrebbe dovuto ingiungere il pagamento al condòmino a cui era pertinente la conduttura idrica di che trattasi.
L’appaltatore, a tal punto, costituendosi in giudizio contestava le avverse pretese; chiedendo, tra l’altro, nel caso in cui fosse accertata la natura privata dei lavori, che venisse condannato al relativo pagamento l’amministratore in proprio (in quanto committente dei lavori). Al fine, domandava la chiamata in causa in garanzia del citato professionista (la quale, però, veniva disattesa dal giudice di prime cure).
Il procedimento di primo grado si concludeva con Sentenza di conferma del Decreto ingiunto e con la conseguenziale condanna del Condominio al pagamento della somma di danaro riportata in atti.
Il Condominio, così condannato, non ci sta e decide di appellare il provvedimento dinanzi al Tribunale competente.
La Sentenza
Il Giudice d’Appello – ovverosia il Tribunale di Palermo, con la Sentenza 1728/2018 – ne accoglie l’impugnazione, rilevando come il Giudice di Pace abbia, da una parte, omesso di contestualizzare l’intervento rispetto l’impianto oggetto di manutenzione (privato), e, dall’altra parte, abbia travisato la normativa relativa ai poteri dell’amministratore in tema di opere di manutenzione straordinaria.
- Con riferimento agli impianti idrici comuni e privati
L’iter argomentativo svolto al riguardo parte dal concetto di “parte comune” (articolo 1117 codice civile), sciolinando i principali arresti giurisprudenziali intervenuti sul tema del labile confine tra parti comuni e parti esclusive.
Ed invero. Per quello che interessa nel caso di specie assume valenza chiarificatrice una pronuncia, risalente ma non superata, della Suprema Corte dei primi anni ’60, che afferma: “La presunzione di comunione dell’impianto idrico di un immobile in condominio (art. 1117, n. 3, c.c.) non può estendersi a quella parte dell’impianto stesso ricompresa nell’ambito dell’appartamento dei singoli condòmini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi e, di conseguenza, nemmeno alla diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva – anche se questo sia allacciato a quello comune – servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri condòmini” (Cassazione Civile, 23.07.1963, n. 2043).
Con altra pronuncia di poco successiva, sempre la Suprema Corte ha specificato che: “il criterio distintivo tra parti comuni e parti esclusive del condòmino è dato solo dalla loro destinazione. Ed il condotto di acque di proprietà esclusiva, indipendentemente dalla sua ubicazione, per la parte in cui direttamente afferisce al servizio singolo e comune in tutta la restante porzione, in cui ad esso si innestano uno o più alti canali a servizio di altri condòmini” (Cass. Civ., 29.07.1964, n 2151).
Dunque, il criterio discretivo tra parti comuni e parti esclusive è quello della destinazione d’uso della singola tubatura, collegata all’impianto idrico.
Questo criterio risulta confermato dalla giurisprudenza successiva, la quale più volte ha affermato che “in un condominio la presunzione di comproprietà, prevista dall’art. 1117, n.3, cod. civ., anche per l’impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell’impianto che raccoglie le acque provenienti dagli appartamenti, e, quindi, che presenta l’attitudine all’uso ed al godimento collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che, diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà esclusiva” (Cass. Civ. 17.01.2001, n. 583).
Più in particolare, proprio in tema di impianto idrico e sue diramazione, la Suprema Corte ha recentemente precisato che “premesso che, a norma dell’articolo 117, n. 3, c.c. si presumono comuni i canali di scarico solo “fino al punto di diramazione” degli impianti ai locali di proprietà esclusva, va escluso che rientri nella proprietà condominiale la c.d. braga (vale a dire, l’elemento di raccordo tra la tubatura verticale di pertinenza del singolo appartamento e quella verticale di pertinenza condominiale), atteso che la stessa, a differenza della colonna verticale, che raccogliendo gli scarichi di tutti gli appartamenti, è funzionale all’uso di tutti i condòmini, serve soltanto a convogliare gli scarichi di pertinenza del singolo appartamento” (Cass. Civ., 17.01.2018, n. 1027).
- Con riferimento ai poteri dell’amministratore
L’erroneità della pronuncia del giudice di pace è stata colta anche in ordine alla contestualizzazione effettuata in tema di poteri di rappresentanza dell’amministratore.
Secondo quest’ultimo le spese urgenti assunte dall’amministratore senza preventiva approvazione dell’assemblea dei condòmini sono sempre rimborsabili sia ai sensi degli articoli 1135, comma 3, e 1134 codice civile sia ai sensi degli articoli 1711 e 1720 codice civile.
Ora, il giudice d’appello sebbene abbia ritenuto corretto l’inquadramento normativo posto dal decidente di primo grado in tema di poteri dell’amministratore, rileva, tuttavia, come la conclusione a cui egli perviene sia errata. In particolare, ciò che viene contestato – efficacemente – è la portata del potere in disamina secondo relativo presupposto generico. Quest’ultimo, invero, rimane sempre vincolato alla natura comune del bene oggetto di intervento straordinario e urgente. Al momento in cui sconfina da tale inquadramento (incidendo su parti private), il potere di rappresentanza affievolisce e rende l’atto amministrativo ultroneo ed inefficace rispetto ai relativi mandanti.
Conclusione
Il Condomino è stato, dunque, ritenuto soggetto non legittimato a rispondere dell’obbligazione di pagamento dedotta in giudizio (da parte della ditta appaltatrice). L’opera realizzata dall’appaltatore era da attribuire a vantaggio di una parte privata esclusiva (e non comune). In quanto tale, il decreto ingiuntivo opposto è stato revocato. Nessun rilievo è stato, invece, attribuito alla circostanza che il conferimento dell’appaltato fosse stato commesso da parte del relativo amministratore. Anzi, avendo il giudice di primo grado disatteso la relativa chiamata in garanzia (quale terzo responsabile), da parte dell’appaltatore, il decidente di secondo grado ha ravvisato la sussistenza di validi motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
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