La convocazione dell’assemblea dei condòmini è un atto dell’amministratore condominiale. Quest’ultimo, in particolare, deve convocare tutti gli aventi diritto, per come segnato dall’articolo 1136, nr 6 codice civile.
Ora, affinché uno dei comproprietari “pro indiviso” di un piano o porzione di piano possa ritenersi ritualmente convocato a partecipare all’assemblea condominiale, nonché validamente rappresentato nella medesima da altro comproprietario della stessa unità immobiliare, non si richiedono particolari formalità, essendo sufficiente che risulti provato – nella ricorrenza di circostanze presuntive affidate alla valutazione del giudice del merito – che, dato l’avviso ad uno dei comproprietari, quest’ultimo abbia reso edotti gli altri della convocazione.
In particolare, l’esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell’assemblea condominiale può ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l’incensurabile accertamento del giudice del merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia (Cass. 1830/00).
Il problema della “prova” sorge, tuttavia, nella comproprietà di un immobile tra coniugi.
Infatti, secondo un “trascorso” orientamento giurisprudenziale, è necessario stabilire se il rapporto di coniugo e la convivenza costituissero elementi sufficienti per fondare una presunzione di conoscenza, ogni qual volta l’avviso di convocazione pervenga solamente ad uno di essi e non ad entrambi (Cass. Cass. 1206/96).
Tuttavia, secondo il Tribunale di Torino, con la Sentenza nr 2847 del 14 maggio 2024, l’avviso di convocazione dell’assemblea va inviato ad entrambi i coniugi comproprietari, non potendosi più ritenere applicabile la presunzione di conoscibilità, di cui alle sentenze anteriforma. A tal riguardo è stato precisato che: “la regolarità della convocazione va, a sua volta, appurata verificando che se siano stati rispettati i requisiti formali del nuovo art. 66 disp. att. c.c. relativi alle modalità di comunicazione: requisiti che, in assenza di comunicazione, non possono essere surrogati, eludendo il dettato normativo, dall’invito al destinatario di avvisare anche gli eventuali comproprietari”.
A conferma della conclusione raggiunta viene richiamata la ratio dell’art. 66 disp. att. c.c., che – secondo il decidente – consiste nell’esigenza di evitare quelle situazioni di incertezza in capo ai condomini e ai terzi che deriverebbero, come accadeva in passato, dall’impossibilità per i soggetti estranei al novero dei contitolari di appurare con certezza se, nonostante l’omessa comunicazione, il comproprietario pretermesso fosse comunque venuto a conoscenza.
Questa conclusione appena raggiunta trova ampio riscontro nella giurisprudenza di merito – viene, a tal uopo, richiamata la Corte di Appello di Catania che con sentenza 23 aprile 2019 n. 924 – la quale ha affermato che “la mancata convocazione di un coniuge in comunione legale provoca l’annullabilità della delibera, non rilevando l’invio dell’avviso di convocazione nei confronti del coniuge convivente“.
La Sentenza in disamina, infine, rileva per un altro aspetto di rilievo, seppure collegato alla composizione delle spese di lite. Infatti, l’esercizio dell’azione di impugnazione da parte del condòmino pretermesso (anzi, dell’avente diritto) dinanzi al tribunale competente era avvenuta senza essere stata preceduta dall’esperimento del tentativo di mediazione dinanzi ad un organismo competente. Secondo il giudice piemontese questa mancanza procedurale è una grave omissione, tale da giustificare, nonostante l’accoglimento della domanda di invalidazione del deliberato, la compensazione delle spese di lite (a tal fine, è stata richiamata la Corte Cost. 19.4.18, n. 77 e la Cass. ord. 14.2.19, n. 4360);
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