L’articolo 646 del Codice di procedura civile, rubricato appropriazione indebita, recita: «Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000 […]».
L’appropriazione consiste in una interversio possessionis vale a dire in un cambiamento del comportamento del soggetto attivo che mostra in modo inequivoco di trattare la cosa come propria, tramite atti tradizionalmente identificati nella consumazione, alienazione, ritenzione e distrazione della cosa. La dottrina lo qualifica come un reato plurioffensivo, nel senso che a essere leso dalla condotta non è solo il diritto di proprietà, ma anche il rapporto fiduciario, come quello che sussiste tra amministratore e condòmini.
Premesso ciò la Cassazione, Seconda sezione penale, con la sentenza 20488/2024 si è pronunciata sul momento esatto in cui si consuma la fattispecie di reato, nell’ambito di un procedimento penale condotto contro un amministratore in carica per oltre tre anni.
La vicenda
Nel caso in considerazione la condotta non era collegata a un unico episodio appropriativo istantaneo, ma a più fatti dilatati nel tempo, in quanto – per come si legge – la ritenuta continuazione ha affasciato le condotte appropriative consumate, distinte per ogni singola gestione delle risorse condominiali, per ogni singolo condominio, non già per ogni singolo esercizio finanziario di bilancio.
A ogni buon conto, il giudice di legittimità ha enunciato il principio di diritto (pur richiamando diversi precedenti) secondo il quale il reato si ritiene consumato, da parte dall’amministratore di condominio, solo alla data del rendiconto finale della gestione, non potendosi altrimenti individuare e distinguere le risorse destinate alle esigenze del condominio da quelle distratte in favore del proprio illecito arricchimento. Atteso anche che il momento in cui i delitti istantanei di appropriazione indebita si consumano, questi coincidono solitamente col rifiuto di restituzione o di rendere il conto degli ammanchi.
L’orientamento della giurisprudenza
Dunque, «in caso di detenzione del bene giustificata ab origine dalla qualità di amministratore della res comune, l’appropriazione indebita non si realizza neppure in concomitanza con la risoluzione del rapporto di prestazione d’opera, ma si perfeziona nel momento in cui il detentore manifesta la volontà di detenere il bene uti dominus, non restituendo, senza alcuna giustificazione, il bene o il denaro che gli viene richiesto». (Tra le tante, si vedano Cassazione, Seconda sezione, 46744/2018; Seconda sezione, 40870/2017; Seconda sezione, 25282/2016; Quinta sezione, 1670/2014; Seconda sezione, 29451/2013).
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