Compravendita e poteri dell’assemblea dei condòmini

Talvolta l’assemblea dei condòmini è in grado di impedire la conclusione di una compravendita. Come, altrimenti, definire il caso prospettato alla Corte di Cassazione (definito con ordinanza numero 36301 del 28 dicembre 2023) tra un promissario acquirente e un promittente venditore che litigavano tra loro in ordine alla portata e all’efficacia di una clausola di garanzia posta in un preliminare e avente la possibilità di cambiare la destinazione d’uso di un immobile ubicato nel fabbricato condominiale (articolo 1385 del Codice civile)?

Orbene, il tenore della clausola era il seguente: «Garantisce espressamente la parte promittente venditrice, da intendersi come condizione essenziale del presente atto, pattuita in difetto la risoluzione ipso iure, che il bene in oggetto possa essere sottoposto a cambio di destinazione a uso ufficio. All’uopo la medesima si impegna a sottoscrivere d.i.a. o richiesta di altri provvedimenti autorizzativi necessari, beninteso da ottenersi a spese della parte [promissaria] acquirente, che altresì sosterrà l’onere dei lavori necessari per detto cambio di destinazione».

La decisione dell’assemblea

Senonchè, succedeva che l’assemblea dei condòmini negava la modificazione della destinazione d’uso, e, quindi, il mancato verificarsi della condizione prefissata aveva esposto il promittente venditore alla risoluzione del rapporto contrattuale e alla restituzione del doppio della caparra di cui trattavasi.

Il ricorso

Quest’ultimo, a tal fine, ricorre in giudizio lamentando l’applicazione degli effetti in disamina a suo discapito, e ivi difendendosi, assumendo che il mancato verificarsi della condizione predetta dipendeva da fattori estranei alla volontà delle parti (cioè, la disciplina statale in materia di destinazione di uso degli immobili urbani, lo strumento urbanistico comunale, l’inesistenza di vincoli assimilabili alle servitù irregolari e reciproche). Nel caso di specie era entrata in gioco – per come asserito – unicamente la delibera dell’assemblea condominiale che aveva negato l’autorizzazione al mutamento d’uso. Dalla clausola era stata così erroneamente desunta un’obbligazione in capo alla stessa, ingiustificatamente, per cui chiedeva dichiararsi la validità del patto contrattuale e, semmai, in via incidentale, la dichiarazione di nullità della deliberazione negativa in questione.

L’esito

Ma l’azione del promittente venditore è stata respinta, perché ha focalizzato un problema giuridico diverso e ultroneo rispetto alla questione negoziale principale che è stata posta in gioco nella causa con il promissario acquirente: vale a dire quella collegata alla validità della deliberazione negativa adottata dall’assemblea dei condòmini in sé come fatto ostativo all’impegno assunto negozialmente.

Contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente – così sovviene la Cassazione – non vi è stata alcuna omissione di pronuncia sulla nullità della delibera condominiale, ma la corretta constatazione che, nel contesto della cognizione sulla fondatezza della pretesa dell’attore alla restituzione della caparra nella misura del doppio, la questione dell’ostacolo che la delibera condominiale de qua ha frapposto alla realizzazione del programma contrattuale è un fatto esterno al rapporto tra le parti, il cui impatto negativo non può occorrere sulla sfera giuridica del compratore (come sarebbe accaduto se ciò avesse condotto a un rigetto della sua domanda), bensì, sulla base della menzionata clausola di garanzia, ricade sulla sfera giuridica della compratrice.

Detto in altri termini, «…la mancata impugnazione della delibera da parte della ricorrente viene in gioco non già in sé, bensì come uno degli strumenti che costei avrebbe avuto a disposizione per mantenere fede alla garanzia prestata».PER SAPERNE DI PIÙRiproduzione riservata ©

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