Con ricorso giudiziario, Mevia, una “bella” signora ultranovantenne, quale conduttrice di un immobile in centro a Milano, ha chiesto al Tribunale locale – esasperata (almeno così la immaginiamo…) – di volersi inibire l’esercizio di un’attività di “risto-pub-discoteca” sita nel locale sottostante a proprio appartamento, previa condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria, a norma dell’articolo 614 bis c.p.c..
L’azione giudiziaria è stata da Mevia ben congegnata, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.
In effetti – per quanto si legge nel provvedimento – il problema per l’anziana donna era per lei più che serio: vitale.
Il locale, nei fine settimana, veniva adibito a discoteca provocando immissioni rumorose (asseritamente) intollerabili che si protraevano fino alle quattro del mattino. Immissioni rumorose – ancora – che le impedivano di riposare, la cui entità era tale da creare addirittura delle crepe nei muri dell’appartamento. Senza tralasciare il chiacchiericcio che si sviluppava tra gli astanti avanti al locale.
Anch’esso denunciato appositamente e tacciato come rumore intollerabile (in seno al provvedimento in commento).
Insomma, una combinazione di eventi nefasti che ha costretto Mevia, addirittura, a prenotare costantemente una camera d’albergo per il fine settimana.
La causa è stata poi definita con una Sentenza del Tribunale di Milano pubblicata in data 05 dicembre 2018: assai interessante, per i tanti risvolti giuridici trattati. Esaminiamo quelli che riteniamo i più importanti o apparentemente tali. Ed invero.
Il tipo di azione. La signora Mevia ha proposto un’azione inibitoria avente contenuto negativo, ossia un’azione finalizzata ad ottenere un ordine giudiziale di cessazione di immissioni, qualificate oltre soglia, ed un’azione risarcitoria, ai sensi degli articoli 844 e 2043 codice civile, a ristoro dei danni patiti. Entrambe le azioni hanno presupposto l’accertamento della illiceità delle immissioni.
Quanto alla relativa configurazione giuridica – per come si legge in Sentenza – , entrambe hanno carattere personale e non reale sia perché formulate dal titolare di un diritto personale di godimento sul bene, sia perché non integrano richieste inerenti modifiche strutturali dell’immobile dal quale provengono le immissioni (ma solo una ingiunzione di “non facere”).
=> Stress da rumore. Chi esagera con la musica nelle ore notturne rischia di dover risarcire i danni.
Il regolamento condominiale non è condominiale. Peculiare è anche il caso trattato dal giudice milanese. Nella fattispecie il regolamento invocato da Mevia è stato ritenuto “neutro”.
L’edificio consta, per quanto è dato apprendere dalla Sentenza, di appartamenti e locali riconducibili ad un unico proprietario, per cui il decidente ha rilevato che non sussisteva la fattispecie del “condominio”.
Quanto al regolamento allegato a tutti i contratti di locazione, il decidente, ha rilevato come il medesimo sia riferibile solo agli “inquilini”, o meglio, ha precisato che, a suo avviso, la relativa violazione (specie delle norme sulla “tranquillità” specificate in seno al testo) potrebbe al più legittimare il locatore-proprietario a chiedere ed ottenere lo scioglimento del rapporto contrattuale col conduttore. Ergo, si tratterebbe di norme non opponibili tra gli stessi inquilini. Da cui la relativa inapplicabilità alla sfera di tali rapporti.
Violazione dell’articolo 844 codice civile. Esclusa, dunque, la illiceità delle immissioni in base alle previsioni regolamentari(invocate, in via principale, da Mevia), il vaglio posto in essere dal giudice milanese è stato compiuto sulla base della norma sopra riportata.
La base per valutare la fattispecie è stata sostanzialmente rimessa (anche) agli esiti dei “numerosi sopralluoghi” posti in essere da parte del CTU, taluni dei quali – per come viene riportato in Sentenza – anche a sorpresa.
E’ poi emerso un quadro completo, sulla base del quale sono stati rilevati una serie di elementi, tra loro, gravi, precisi e concordanti in grado di legittimare la decisione per la quale l’attività svolta dal “risto-pub-discoteca” sconfinasse i limiti della normale tollerabilità, finendo per divenire abnorme.
Anzi, il giudice milanese si spinto oltre, affermando pure che per l’attività rumorosa così accertata è in sé idonea a disturbare un numero indeterminato di persone (ossia tutte quelle che abitano nelle vicinanze del locale), integrando tale “condotta” astrattamente l’illecito penale previsto e punito dall’articolo 659 codice penale.
Sono irrilevanti le autorizzazioni amministrative. Nell’addivenire a tale decisione va enfatizzato, infine, anche un altro passaggio motivazionale. Il decidente meneghino, a fronte delle diverse eccezioni formulate da parte del titolare dell’attività in questione, ha avuto cura di precisare che devono ritenersi irrilevanti tutte le autorizzazioni amministrative esposte dal predetto titolare, specie con riguardo all’esercizio dell’attività di “discoteca”, in quanto le stesse avrebbero rilievo solo con riguardo al rapporto tra lo stesso e la pubblica amministrazione e non anche nel novero dei rapporti tra privati.
Gli aspetti risarcitori.
Da ultimo, il tribunale milanese ha precisato che la ripetuta esposizione ad immissioni sonore intollerabili determina ex se una lesione dell’equilibrio psico-fisico ed è sempre suscettibile di essere indennizzata (in ciò vengono parimenti richiamati i seguenti arresti giurisprudenziali: Corte di Cassazione n. 13208/2016; 26899/2015; 5844/2007).
Fonte: https://www.condominioweb.com/discoteca-condominio.15619
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