IL CONDOMINO PUÒ QUERELARE L’AMMINISTRATORE

Il singolo condomino, in quanto titolare del diritto di tutelare le destinazioni d’uso delle parti comuni, è legittimato, quanto meno in via concorrente o eventualmente surrogatoria con l’amministratore del condominio, alla presentazione di una valida querela, in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune del condominio.

Il principio di cui sopra è stato appena ribadito dalla Corte di Cassazione, sezione penale, con riguardo alla fattispecie della presentazione di una querela contro l’amministratore precedente in tema di appropriazione indebita (cfr, Sentenza nr 21370 del 12 marzo 202)

A tal fine è stato richiamata la previsione dell’articolo 1117 quater del codice civile, introdotto dalla legge 220 del 2012, a mente del quale: “In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136”.

Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, anche laddove toccati dal reato di appropriazione indebite delle finanze condominiali.

A tal fine, per legittimare l’assunto è stato richiamato financo il diritto societario e, in particolare, un precedente sul tema, secondo cui: «la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di appropriazione indebita posto in essere ai danni della società amministrata da parte del legale rappresentante che sia anche socio di maggioranza spetta al singolo socio titolare delle residue quote, dovendo lo stesso considerarsi non solo danneggiato dal reato, ma anche persona offesa, in quanto titolare del bene giuridico costituito dalla integrità del patrimonio sociale» (Corte di Cassazione, Sez. 2, n. 11970 del 22/01/2020, Torna, Rv. 278831).

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