La Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza 12715 del 2019 (Consigliere relatore dott. Augusto Tatangelo – Presidente dott. Franco De Stefano), ai sensi dell’articolo 363, comma 3, c.p.c., ha enunciato il seguente principio di diritto:
<<Il creditore del condominio che disponga di un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso, ha facoltà di procedere all’espropriazione di tutti i beni condominiali, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., ivi inclusi i crediti vantati dal condominio dei singoli condòmini per i contributi dagli stessi dovuti in base a stati di ripartizione approvati dall’assemblea, in tal caso nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 c.p.c. e ss>>.
La causa da cui origina l’affermazione del “principio di diritto” appena reso è un’opposizione all’esecuzione, respinta dai giudici di legittimità per inammissibilità.
La portata della Sentenza, tuttavia, va oltre l’importante assunto riferito e si estende ad altri ambiti ancora: di rilievo processuale e sostanziale.
Non passano così inosservati gli altri “principi” delibati dal Giudice di legittimità in seno al provvedimento in commento, in ordine alla carenza di legittimazione posta in capo sia all’amministratore che ai singoli condòmini.
Partitamente, secondo i giudici di legittimità, l’amministratore non è in grado di formulare un’opposizione all’esecuzione, fondata sull’assunta improrogabilità delle quote condominiali, siccome, nella fattispecie, non si tratta di comporre una controversia avente ad oggetto direttamente la riscossione dei contributi, l’erogazione delle spese di manutenzione o la gestione di una o più cose comuni (di cui all’articolo 1130 c.c.), ma solo di una pretesa sulla inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, secondo le modalità concretamente adottate dal creditore.
La Corte di Cassazione perviene alla stessa conclusione rispetto l’opposizione formulata da parte del singolo condòmino.
Invero, il condòmino “pignorato” delle quote dovute al condominio si configura quale terzo nella stessa procedura esecutiva, e, pertanto, non è in grado – in quanto non ne ha interesse (cfr art. 100 cpc) – a sollevare questioni che riguardano esclusivamente i rapporti tra creditore esecutante e debitore esecutato e, in particolare, il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore, il quale ultimo soltanto si può avvalere dell’apposito rimedio di cui all’articolo 615 c.p.c. (cfr, C, Cass., Sez. L, Sentenza n. 6667 del 29/04/2003 […]).
La pronuncia in esame, visto l’ampiezza delle enunciazioni argomentative offerte al riguardo, si innesta in quel filone del “diritto vivente” condominiale di matrice giurisprudenziale in grado di segnare un solco profondo con con il “passato” e la sua incertezza…
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